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Compte rendu par Marco Cavalieri, Université catholique de Louvain Nombre de mots : 1795 mots Publié en ligne le 2010-05-25 Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700). Lien: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=918 Lien pour commander ce livre Il volume è il primo di una collana "Ornamenta" ideata di recente, curata dall’editore Ante Quem in collaborazione con l’Università degli Studi di Bologna e dedicata espressamente all’oreficeria antica e medievale. Il taglio editoriale si propone di mette a confronto attraverso il tempo tipologie e tecniche diverse di oreficeria, dall’età etrusca al Medioevo e oltre, soffermandosi di volta in volta sugli aspetti, tecnici, tecnologici, sociali, artistici, e certamente storico-archeologici che costituiscono il contesto ermeneutico di tale classe di manufatti. Così come ricorda l’aletta della copertina, infatti, l’oreficeriae i manufatti di ornamento rivestono un’importanza particolare nell’analisi delle società del passato, nella loro qualità di strumento d’espressione sociale e linguaggio di auto-rappresentazione, e offrono un’esperienza peculiare nella contemplazione estetica delle produzioni realizzate da civiltà ormai scomparse. In questa ottica, il libro tenta di fornire un supporto allo studio dell’oreficeria nel suoi molteplici risvolti, mostrando quanto la ricerca sugli oggetti d’ornamento sia più feconda della loro semplice analisi antiquaria o tecnologica, soprattutto allorquando il loro contesto di provenienza e giacitura archeologica sia noto e conservato. È chiaro come nei diversi contributi non vengano tralasciati anche altri approcci fondamentali alla comprensione della natura e del ruolo degli ornamenta sia in antico sia oggi, limitando all’apparato iconografico, non sempre in verità di grande qualità, il criterio estetico che, in passato e non solo, ha monopolizzato, spesso marginalizzandola, questa categoria di materiali e così riducendola a meri oggetti da tesaurizzare, fino a farne dei veri e propri disiecta membra. Tra gli aspetti talora meno considerati e, pertanto, sottolineati nel volume, vi sono i valori intrinseci veicolati ai materiali d’ornamento: quale quello sociale, religioso, affettivo, di status symbol etc.; se considerato in questa prospettiva il gioiello acquisisce il ruolo di fonte di e strumento utili alla conoscenza e non solo dell’individuo che lo ha portato o commissionato (della sua capacità culturale, economica, delle sue credenze religiose etc.) ma anche dell’artigiano che lo ha creato.
L’occasione della pubblicazione, inoltre, chiarisce alcune scelte editoriali e le finalità del volume, che sono in primis didattiche, i testi nascendo da un evento seminariale rivolto a dottorandi di ricerca in Archeologia e Storia dell’arte, quale strumento per l’acquisizione di un background metodologico e tecnico sulla materia. Ciò certamente non preclude la lettura anche a studiosi ed appassionati che vogliano ampliare il proprio bagaglio di conoscenze ed aprirsi alla possibilità di altre piste in merito a materiali, ad esempio, provenienti da corredi funerari.
Dopo una brevissima Introduzione delle due curatrici, il libro si compone di undici contributi il cui spettro tematico, geografico e cronologico risulta estremamente vario. Ad aprire la rassegna è M.T. Guaitoli, I gioielli fra tradizione letteraria, fonti archeologiche e paralleli etnografici: la studiosa enumera, in maniera sintetica ma precisa, valori e funzioni ricoperti dai gioielli, e mostra come nel mondo ellenico, fin dai tempi dell’epica omerica, i metalli preziosi – oro e argento – fossero sempre posti in rapporto ad una provenienza orientale ed “barbara”. A tali prime conclusioni si arriva attraverso una puntuale esegesi delle fonti che, in effetti costituisce l’interesse principale dell’intervento: l’attenta analisi dei testi letterari e dei termini inerenti all’oreficeria antica, risale addirittura alle tavolette micenee in Lineare B da Pylos e Cnossos, ove già è attestata l’identità dell’orafo. Da tale ricerca sui testi greci e latini deriva un “lessico terminologico”, apprezzabile soprattutto per lo sforzo di far corrispondere le citazioni e le talora vaghe descrizioni testuali alle conoscenze archeologiche e iconografiche relative a collane, orecchini, anelli etc. In tal modo si giunge a definire tipologie presenti in contesti geografici e cronologici e culturali, così come straordinariamente mostrano i vividi ritratti funerari del Fayyum. Un piccolo appunto di editing deve essere fatto: soprattutto in funzione della natura didattica del volume, le immagini avrebbero potuto essere corredate da legenda ove l’attuale luogo di conservazione del materiale fosse indicata in modo chiaro piuttosto che arguibile.
Oreficeria e società nel mondo greco di E. Lippolis è certamente tra i contributi del libro più densi ed interessanti sotto il profilo dell’approccio antropologico al tema. Considerata la quantitativamente rilevante produzione magnogreca e di Sicilia, la maggior parte delle pagine sono consacrate a tali regioni occidentali del mondo greco, con una serie di considerazioni che fanno del manufatto ornamentale una chiave di lettura fondamentale nella comprensione dei numerosi problemi ermeneutici posti dai vari contesti o circostanze di ritrovamento o conservazione. Corredato da un’ampia ed aggiornatissima bibliografia, il testo, partendo da una valutazione di quello che è stato un uso scorretto degli oggetti d’oreficeria perpetrato dall’antiquariato e dal collezionismo, spesso colpevoli della distruzione dei contesti storici di provenienza, si sofferma su numerosi aspetti inerenti al rapporto tra gioiello e società, non sempre per altro, di facile analisi. Tra questi, il fatto che il gioiello rinvenuto in un contesto funerario non necessariamente rifletta l’uso diretto che di esso si faceva nella vita reale; l’enorme importanza del comportamento sociale nella conservazione di questi materiali, a seconda dell’esistenza o meno nella società di cui il manufatto è espressione, di una regolamentazione sul lusso, azione politica non rara sia nell’ambito della polis greca sia nella Roma repubblicana e alto-imperiale, pur se con caratteristiche e modi differenti. Il contributo, poi, si dipana in una serie di analisi, sempre largamente argomentate, che dimostrano il valore d’indicatore culturale, di genere e sociale dell’oreficeria antica, non tralasciando neppure la scelta del metallo prezioso, espressione anch’essa culturale e politica non secondaria (cfr. la ripresa da parte della famiglia dinastica macedone dell’uso dell’argento e dell’oro). Inoltre lo studio tipologico dei gioielli (anelli ed orecchini in primis) mostra la diffusione di alcuni modelli e i contatti culturali che queste forme di lusso hanno veicolato nel tempo e nelle varie classi sociali greche e non solo. Il definitiva, il testo si qualifica anche per il suo valore di studio sociologico del bene di lusso, senza tralasciare poche ma fondamentali pagine all’analisi dell’identità dell’artigiano orafo, visto nella sua diacronica evoluzione dall’età arcaica a quella ellenistica.
A. Pacini, Tecniche dell’oreficeria etrusca: si tratta di un breve testo in cui, al di là del dato tecnico, si cerca di dare una nuova lettura alle conoscenze metallurgiche degli artigiani etruschi, la cui tecnhe sembra spaziare ben oltre l’ambito della specializzazione orafa.
Il gioiello monetale in età romana di A.L. Morelli, è il successivo contributo che analizza diacronicamente l’uso di monete in funzione ornamentale, pratica, per altro già nota dalle fonti, così come già recita il Digesto (VII, 1, 28): …nomismatibus aureis vel argenteis veteribus pro gemmis uti solent. Si tratta di un tema di apparente facile analisi, ove la moneta, al di là della sua tipica funzione di strumento di scambio, subisce una sorta di “demonetizzazione” per assumere un valore ornamentale, talora con chiari intenti ideologici, per esempio, nell’individuare effigi imperiali particolari in determinati momenti storici. Non è esclusa anche una scelta delle monete, da montare in collane, armillae, fibulae, di tipo prettamente estetico-antiquario, fondata, dunque, sulla rarità dell’oggetto. Emerge, comunque, una certa difficoltà di datazione di tali manufatti, la quale sovente non può che essere post quem in funzione della cronologia numismatica. Infine, riveste particolare interesse il tentativo di ricostruzione della diffusione di tali materiali in funzione di una possibile diversificazione provinciale.
Di grande interesse per contenuti ed articolazione della struttura testuale sono le pagine di I. Baldini Lippolis, Appunti per lo studio dell’oreficeria tardoantica e altomedievale, ove si procede con una sistematica analisi delle fonti scritte, iconografiche ed archeologiche, di cui si mettono in primo piano limiti, vantaggi ed approcci metodologici. Non manca neppure una contestualizzazione storica del ruolo dell’orefice, ed un’ampia casistica terminologica fondata sulle fonti letterarie. Esemplare, infine, è lo studio di due tipologie di orecchini particolarmente diffuse in Italia tra VI e VII secolo, “a cestello” (di tradizione longobarda) e “a corpo semilunato” (bizantina): partendo da un’analisi distributiva dei ritrovamenti, si dimostrano esigenze rappresentative d’identità culturali diverse che trovano la loro zona di overlap tra Italia meridionale e Sicilia.
J. Pinar Gil, Problemi di valutazione storico-archeologica delle produzioni d’oreficeria visigota nel V secolo, si differenzia dagli altri contributi per la sua démarche interpretativa di tipo “revisionistico” e relativa all’attribuzione dell’identità “visigota” a molti corredi funerari iberici e non solo. Successivamente ad una premessa di carattere storico e metodologico, in funzione di un’attenta analisi su base cronologica, distributiva e tipologica, il testo arriva a dimostrare come talora sia necessario un diverso approccio al problema per cercare nuove piste interpretative. In tal senso, nello studio dei contesti funerari di attribuzione visigota, l’autore prova quanto sia erroneo attribuire con sicurezza un’identità etnica in funzione di corredi funerari che hanno modelli nell’oreficieria mediteranea riprodotta per le élites “barbare” e cronologie non sempre concordanti con le supposte migrazioni est-ovest delle popolazioni barbariche tra IV-VI sec. d.C. Peccato i numerosi refusi nel testo, certo dovuti ad una traduzione frettolosa dell’originale dallo spagnolo all’italiano.
Le pagine Oreficeria tardoantica e altomedievale in Emilia Romagna: il problema dei contesti di C. Cavallari sono un’utile sintesi relativa ai molti scavi che le situazioni d’urgenza edilizia o infrastrutturale costringono ad aprire, nello specifico nel territorio della regione emilio-romagnola. Nel testo, dove a indagini archeologiche recenti, si affiancano anche ricerche d’archivio su materiali e contesti dispersi e dimenticati, si compie una preziosa opera di ricomposisizione del quadro dei fenomeni di trasformazione tra tarda antichità e medioevo in ambito funerario e attraverso i manufatti d’oreficeria.
Più attinente alla sfera storico-artistica e sociale è il testo di P. Porta, Considerazioni sull’oreficeria e sui metalli preziosi goti e longobardi in Italia dove attraverso la metallurgia e l’oreficeria si cerca di fare luce sulla presenza, sull’arte e la cultura di queste popolazioni, di fronte alle forti spinte a fome di romanizzazione e limitatamente alle classi più elevate.
Dopo il brevissimo Aspetti metallurgici nello studio delle leghe preziose da oreficeria impiegate nell’Antichità di C. Chiavari, G.L. Garagnani e C. Martini, si passa al contributo più voluminoso del libro, Un industrioso e pazientissimo lavoro: il “mosaico in piccolo”. Aspetti dell’antico nell’oreficeria ottocentesca di A.M. Capoferro Cencetti. Si tratta di uno studio di alto profilo antiquario ed archivistico che pone la sua attenzione alla vasta e qualitativamente elevanta produzione del “mosaico minuto” messa a punto a Roma nella seconda metà del Settecento, in rapporto ai modelli iconografici antichi.
Infine, l’opera si conclude con Confronto fra le tecniche attuali e quelle gote: i cloisons romboidali del Tesoro di Domagnano di M. Casagrande, sintestico testo che ricorda come la tecnologia moderna affronti la necessità di riprodurre antiche tecniche orafe al fine di conservare o riprodurre i manufatti pervenutici.
In guisa di concusione, una nota per consigliare la lettura di questo testo i cui contributi, non sempre, in vero, omogenei per approccio metodologico e sintesi analitiche, hanno, però, il merito di fornire un primo strumento d’indagine in un ambito, quello dell’oreficieria, spesso non sufficientemente posto al centro dell’interesse della ricerca archeologica.
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Éditeurs : Lorenz E. Baumer, Université de Genève ; Jan Blanc, Université de Genève ; Christian Heck, Université Lille III ; François Queyrel, École pratique des Hautes Études, Paris |