Eriksen, Roy - Malmanger, Magne (ed.): Imitation, Representation and Printing in the Italian Renaissance, 384 p. con figure in n & b, ISBN 978-88-6227-111-0, cm 17,5 x 24,8,
(coll. «Early Modern and Modern Studies», 3, diretta da Roy Eriksen)
(Fabrizio Serra Editore, Pisa - Roma 2009)
 
Reseña de Antonella Fenech, Université Paris 1
 
Número de palabras : 1722 palabras
Publicado en línea el 2010-10-25
Citación: Reseñas HISTARA. Enlace: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=947
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          Edito da Roy Eryksen e Magne Malmanger, Imitation, Representation and Printing in the italian Renaissance raccoglie i contributi di diversi studiosi internazionali intorno ad una triplice problematica, ambiziosa e stimolante, che è evocata giustamente già dal titolo. Le nozioni d’imitazione e di rappresentazione, e la pratica della stampa possono considerarsi come tre momenti fondamentali per la comprensione della cultura figurativa del Cinquecento  ma rappresentano anche tre punti nodali del processo creativo. I saggi presentati nella raccolta si organizzano intorno a tematiche che insistono precisamente sul carattere metamorfico di questi concetti di rappresentazione e d’imitazione nel corso del Rinascimento e sul ruolo capitale della stampa nei processi di trasmissione culturale e artistica.

 

          È innanzitutto la questione della prospettiva – della sua teorizzazione rinascimentale, della sua genesi e del suo sviluppo – che interessa i saggi di Marianne Marcussen e di Thomas Frangenberg. Attraverso l’osservazione di alcune opere di Ambrogio Lorenzetti, Leon Battista Alberti, Piero della Francesca e Leonardo, la studiosa considera la teoria e la pratica della rappresentazione prospettica dello spazio seguendo il parallelo tracciato dalla tradizione matematica e geometrica euclidea, trasmessa al Rinascimento grazie ai commentatori medievali. Marcussen considera quindi lo sviluppo di questa tecnica della rappresentazione da un punto di vista essenzialmente geometrico, rileggendo in funzione di questa le esperienze prospettiche brunelleschiane. Il contributo di Frangenberg invece si sposta verso un tempo e in uno spazio differenti, poiché lo studioso si sofferma sul trattato di Roland de Fréart, Idée de la perfection de la peinture pubblicatonel 1662. Attraverso delle considerazioni sull’ottica e sulla prospettiva che il teorico francese avanza commentando le stampe di Marcantonio Raimondi del Giudizio di Paride e del Massacro degli Innocenti di Raffaello, Frangenberg dimostra che Fréart considera la costruzione prospettica come uno strumento – particolarmente efficace – al servizio non soltanto della rappresentazione dello spazio, ma soprattutto dell’espressione psicologica e narrativa della scena.

 

          Il secondo tema su cui s’incontrano e si confrontano alcuni saggi della raccolta è quello della teoria rinascimentale dell’arte. Francesca Fiorani studia i concetti e i significati metaforici di luce e d’ombra in Leonardo, a partire dall’osservazione della molteplicità cromatica delle ombre dell’Annuciazione degli Uffizi. Proprio intorno al 1490, Leonardo lavora a una teoria della pittura in cui una parte considerevole è data alla questione della riflessione e della luce. Lo studio degli scritti leonardeschi mostra che l’artista contava dedicare un libro del suo trattato alla questione della luce. Tuttavia, per diverse ragioni che Fiorani si propone di spiegare, la teoria di Leonardo sulle ombre colorate e in generale sulla pittura come scienza basata sull’ottica, non hanno influito sulla pratica artistica del xvi e xvii secolo.

 

          Se l’implicazione teorica di Leonardo è indubbia, l’apparente distacco di Michelangelo dalle problematiche teoriche è al centro dallo studio di William E. Wallace. Questi considera che l’asserzione spesso ribadita che lo scultore “liberasse” la figura dal blocco che l’imprigionava corrisponde ad un malinteso diffuso dalla letteratura, fondato sulla biografia vasariana e su una lettura frammentaria e parziale di certi testi michelangioleschi. La prosaica conclusione è che il leggendario non-finito michelangelesco non sarebbe altro che il risultato di problemi tecnici legati alla qualità e alla forma del blocco di marmo e che Michelangelo, in fondo, non fu mai particolarmente interessato ai risvolti teorici della sua arte. 

 

          Il concetto di energeia e il suo rapporto imprescindibile con la questione dell’ornamento occupa il cuore della contribuzione di Clare Lapraik Guest. Dopo aver definito il significato de tale concetto in Aristotele e Cicerone, la storica studia il suo slittamento di significato nel corso del Rinascimento, quando l’energeia diventa una qualità dell’ornamento e dello stile. Attraverso il suo confronto con i concetti di movimento e grazia, Guest mette in evidenza il fatto che, considerati quali ornamenti, questi partecipano all’attuazione dell’idea, al dialogo tra l’universale e il particolare.

 

          Tra concetto e manualità, tra teoria e pratica, sta il disegno. Lo studio di Magne Malmanger propone un’analisi generale del ruolo e dell’idea stessa di disegno nella cultura artistica rinascimentale, come principio dell’arte da Ghiberti a Leonardo, Varchi o ancora Vasari. Il termine stesso è doppio, proprio perché implica nel contempo il senso di linea materialmente definita che definisce le forme – Alberti la chiama circonscriptione – e il senso di concetto interiore. Questa molteplicità di accezione – spiega Malmanger – ha avuto un peso considerabile nella separazione sempre più netta e importante nel corso del Rinascimento fra artefici e artisti.

 

          Raffaello è il terzo punto focale della raccolta. L’imitazione dei modelli antichi e la lettura di questi ultimi nell’interpretazione raffaellesca sono al centro dello studio di David Hemsoll. Lo storico affronta ugualmente il rapporto tra i metodi di composizione letteraria in Castiglione e Bembo e l’architettura di Raffaello – il palazzo Branconio dell’Aquila, per esempio – che serve da modello alla generazione successiva di architetti. È proprio sulla tradizione architettonica di Bramante, di Raffaello e dei suoi allievi e sulla sua influenza nella definizione architettonica “all’antica” del palazzo di Carlo V a Granada che si sofferma lo studio di Paul Davis; questi ritraccia le modalità di trasmissione dei modelli stilistici e costruttivi tra Roma e la Spagna grazie allo studio di alcuni disegni inediti della bottega di Giulio Romano. Lo studio di queste opere e dei rapporti tra la corte di Carlo e i Gonzaga, conduce Davis a ipotizzare che il palazzo dell’imperatore derivi dall’interpretazione congiunta del Palazzo Branconio dell’Aquila che Raffaello progetta nel 1518 e del Palazzo Te di Giulio Romano (1525).

 

          Ancora Raffaello è al centro di uno studio di Lisa Pon sulla rappresentazione degli strumenti musicali presenti nel Parnaso del Vaticano e nella incisione di questi affreschi realizzata da Marcantonio Raimondi. Ma è la lira da braccio, suonata da Apollo su cui si sofferma più lungamente l’autrice, in quanto questa è considerata come la chiave di lettura di un’interpretazione particolare dell’opera in Vaticano.

 

          Al ritratto sono dedicati gli studi di Anna Lange Malmanger e Kristine Kolrud. La tensione contenuta nel busto di Cosimo I di Cellini è al centro del primo studio, in cui l’autrice ritorna sulle diverse ipotesi interpretative relative al ritratto cosimiano, e propone di considerare la questione della somiglianza da un punto di vista teorico – della “vivezza” e del carattere leonino dell’effigie – oltre che come una presa di posizione dello scultore sull’imitazione e un’autocelebrazione della maestria celliniana.

 

          È sulla relazione formale e simbolica fra l’autoritratto di Sofonisba Anguissola (Musée Condée, Chantilly) e il ritratto che quest’ultima esegue della regina Isabella di Valois (Kunsthistorisches Museum, Vienna) che si concentra il saggio di Kristine Kolrud. Nell’autoritratto, la pittrice e dama di compagnia di Isabella, porta un ricco abito, identico a quello indossato dalla regina nel quadro viennese. Questo dettaglio – inedito nel genere – è studiato nel ruolo significativo che l’artista dà al vestito, che diventa segno visibile della relazione tra l’artista e la sovrana.

 

 

          Sempre il ritratto, ma inteso in modo generico e simbolico, costituisce il filo conduttore del saggio di Michael Rohlmann. Indagando tre secoli di storia della pittura italiana, egli propone «una micro-storia del continuo sviluppo e imitazione di una composizione figurativa» – la rappresentazione del papa in trono di fronte a un’assemblea prosternata. Il motivo iconografico è studiato attraverso alcuni esempi celebri della pittura monumentale d’Italia centrale fra Tre e Cinquecento, dalla Conferma delle regole dell’ordine francescano di Giotto (Assisi e poi Firenze), fino all’Inconorazione di Carlo V che Vasari dipinge nella sala di Clemente VII (Palazzo Vecchio). In questa panoramica Rohlmann sottolinea come delle scelte compositive, spaziali e tematiche particolari siano messe al servizio della propaganda religiosa, prima, della promozione borghese, poi, e infine dell’apologia politica.

 

          Gli ultimi due studi della raccolta occupano virtualmente una sezione tematica dedicata al rapporto tra la funzione dell’incisione e della stampa e le problematiche politiche e religiose controriformistiche. La Controriforma cattolica reinterpreta infatti, nella sua funzione di modello, l’Antichità classica adattandola all’esigenza di ridare a Roma il ruolo di cuore del Cristianesimo. Questo è in estrema sintesi quanto afferma Viktor Plahte Tschudi che si sofferma soprattutto su come questa trasformazione incida nel cantiere di San Pietro. In effetti, tra la fine del Cinquecento e l’inizio del secolo successivo, molti dei monumenti più importanti dell’Urbs vengono privati del loro significato pagano e ‘archeologico’ per portare le insegne della Chiesa trionfante.

 

          La relazione fra la politica artistica controriformistica e la stampa è affrontata da Leif Holm Monssen attraverso il ruolo mnemonico e didattico della relazione fra gli affreschi martirologici della chiesa gesuitica di Santo Stefano Rotondo al Celio – eseguiti da Niccolò Circignani e Matteo da Siena nel 1582 – e due testi illustrati di poco posteriori, gli Emblemata Sacra S. Stephani Caelii Montis Intercolumniis affixa et il Triumphus martyrum in tempio D. Stephani Caelii Montis expressus di G. Roscio. L’associazione di queste due opere a stampa al ciclo pittorico permette all’autore di ipotizzare il loro uso nell’ambito della pratica educativa e meditativa gesuitica e d’insistere sul ruolo sempre più importante dell’arte stampa per la Chiesa della Controriforma.

 

          Questi sono, in sintesi, i contenuti principali della raccolta di saggi la cui unità e coerenza tematiche, bisogna dirlo, a volte mancano di chiarezza per il lettore. Se l’interesse della maggior parte dei contributi è indubbio, forse un appunto va mosso proprio al taglio globale poiché l’unità tematica che dovrebbe tenere l’insieme non sempre conserva la tensione necessaria a strutturare il volume. Le promesse enunciate nel titolo sono mantenute solo parzialmente in quanto l’articolazione tra le componenti concettuali messe in rilievo – imitazione, rappresentazione e stampa – non riesce sempre a prendere forma nel susseguirsi dei saggi. Tuttavia questa nota critica non intende sminuire in modo alcuno l’interesse di molti dei lavori proposti che indagano, spesso con vivacità e originalità, quelli che possono essere considerati come cardini della cultura artistica del Cinquecento in Italia.



Contents

Notes on contributors, p. 9-12

- R.T. Eriksen, « Introduction, Imitation, representation and printing », p. 13-23

- M. Marcussen « Prospettiva, andate e ritorno. Geometry an Illusion in Pictorial Space from Brunelleschi to Roman Painting in Antiquity, and Back to the Renaissance  », p. 25-59

- Th. Frangenberg,  « What Paris saw: Roland de Fréart de Chambray on Optics an Perspective »,  p. 61-82

- C.E. Guest Lapraik, « On energeia », p. 83-100

- W.E. Wallace, “Michelangelo: separating Theory and Practice”, p. 101-117

- F. Fiorani, “The shadows of Leonardo’s Annunciation and their lost legacy”, p. 119-156

- P. Davies, “The Palace of Charles V in Granada and two Drawings from the School of Raphael”, p. 157-190

- L. Pon, “Further musings on Raphael’s Parnassus”, p. 191-207

- D. Hemsoll, “Raphael’s new architectural Agenda”, p. 209-231

- M. Malmanger, “Rise and Fall of the Designer”, p. 233-245

- M. Rohlmann, “Davanti al trono del papa. Tradizione e trasformazione di una formula pittorica da Giotto a Vasari”, p. 247-257

- Lange Malmanger, “Some Observations on Cellini’s Bust of Cosimo I”, p. 259-276

- K. Kolrud, “Homage to the Queen: Sofonisba Anguissila’s Self-portrait in the Musée Condé”, p. 277-290

- V.P. Tschudi, “Tampering with Temples: Antiquity on the Catholic Reformation”,  p. 291-304

- L.H. Monssen, “Emblems in Jesuit Education Practice: the case of Santo Stefano Rotondo”, p. 305-366

Index, p. 367