Lipinski, E.: Resheph. A Syro-Canaanite Deity, (Orientalia Lovaniensia Analecta, 181 ; Studia Phoenicia, 19)
297 p., ISBN 978-90-429-2107-8, 75 euro
(Peeters, Leuven 2009)
 
Recensione di Cristina Baccarin, Università degli studi di Torino
 
Numero di parole: 1605 parole
Pubblicato on line il 2010-06-22
Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
Link: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=985
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           Il volume raccoglie i dati di trent’anni di ricerca dedicata dall’A. alla collezione di rappresentazioni iconografiche e di testi scritti di provenienza semitica o egizia riguardanti il dio Reshef, abbracciando un arco temporale abbastanza vasto che va dal III millennio fino alla fine del I millennio a.C. Rispetto alla produzione scientifica precedente, dedicata alla divinità siro-cananea e rappresentata dal volume di I. Cornelius (1994) sull’iconografia di Reshef e Ba’al durante il Tardo Bronzo e l’Età del Ferro I, l’A. estende l’analisi al Bronzo Antico e al Bronzo Medio, utilizzando le recenti informazioni provenienti dai testi di Ebla e di Emar, e le nuove pubblicazioni riguardanti Ugarit.

 

           Il testo è articolato in tre parti. Nella prima (capitoli I e II) l’A. passa in rassegna le attestazioni epigrafiche più antiche, relative al III millennio e provenienti dall’archivio di Ebla. La seconda parte è dedicata all’analisi dei testi e dell’iconografia del II millennio a.C., e presenta una suddivisione tra fonti levantine (capitolo III e IV) e fonti egizie (capitolo V). L’ultima parte analizza le fonti più tarde del I millennio, rinvenute in Siria e nella regione Cananea (capitolo VI) e in Egitto (capitolo VII).

 

           La prima attestazione del culto del dio Reshef, descritta nel I capitolo, risale al XXIV secolo a.C. e proviene dall’archivio reale di Ebla, in cui il dio Ra-sa-ap viene citato centinaia di volte con ben quattordici appellativi diversi, a dimostrazione della sua importanza nel pantheon cittadino. Nonostante le numerose citazioni del dio Reshef nell’archivio eblaita conosciamo ben poco delle caratteristiche della divinità e del suo culto, e le uniche informazioni disponibili provengono in forma indiretta da un unico testo. Si tratta di un’iscrizione bilingue in cui Reshef è identificato con Nergal (dKIŠ.UNU4), divinità sumerica della guerra e della morte, di cui esiste un’ampia e articolata descrizione nella documentazione sumerica. Dagli altri testi contenenti il nome del dio ricaviamo per la maggior parte informazioni sul tipo di offerte recate in dono, o sui luoghi in cui è adorata la divinità. L’appellativo che ricorre con maggior frequenza, dRa-sa-ap ’À-da-niki o ’À-da-ni-tùki, fa riferimento al nome di luogo Adani, un centro probabilmente situato nell’area di Ebla presso l’alto Oronte. Come sottolineato dall’A., le offerte portate in dono dai sovrani di Ebla al santuario di Reshef presso Adani sono composte prevalentemente di armi e suppellettili belliche, e questo tipo di offerte sottolinea la natura guerriera della divinità. L’equipaggiamento bellico con cui è rappresentato il dio corrisponde esattamente a quello raffigurato nelle steli egizie del II millennio, e dimostra una corrispondenza con la rappresentazione semitica del III millennio.

 

           Il secondo appellativo per numero di citazioni è Reshef di Gunu(m), dRa-sa-ap gú-nu o gú-núm, la cui interpretazione si presenta più complicata della precedente, e per la quale l’A. suggerisce un’interpretazione come micro-toponimo, vale a dire il nome di un’area presente all’interno del palazzo cittadino e dedicato al dio.

 

           Il secondo capitolo è dedicato alla dea ADAMMA, dea della fertilità e del terreno fertile. Essa compare in numerosi testi di Ebla associata al dio Reshef. Il nome di Adamma compare sia  nella forma Adamma di Adani, sia nella forma Adamma di Gunum. Secondo la documentazione eblaita Reshef rappresenta con tutta probabilità il giovane sposo della dea, ma rispetto ad essa gode di una maggiore importanza nel pantheon cittadino. Il culto della dea Adamma è molto antico, ed è strettamente legato alla terra, è probabile dunque che sia stato sostituito dal culto di Reshef nel santuario eblaita.

 

           Nel terzo capitolo l’A. passa in rassegna le attestazioni riguardanti il dio Reshef nelle fonti epigrafiche e nella glittica del Bronzo Medio e Tardo nel territorio siro-levantino. Una delle prime attestazioni dell’utilizzo del teonimo come nome proprio proviene dagli archivi di Mari e risale al periodo Paleo-Babilonese. Simili attestazioni provengono da Ugarit e risalgono al periodo Medio-Babilonese. In entrambi i casi il nome del dio è utilizzato con valenza positiva, sottolineando le caratteristiche di Reshef come dio benevolo e protettore. In altri testi provenienti sempre dall’archivio di Ugarit il teonimo compare in liste di offerte, rituali, e in un testo che documenta un’eclissi solare. In quest’ultimo caso Reshef assume caratteristiche negative, associato ad avversità della sorte. Questo aspetto negativo della divinità è confermato nella leggenda di Keret, dove il dio è citato come causa di morte di alcuni figli del protagonista della leggenda. Accanto ai testi di Mari e Ugarit ulteriori attestazioni durante questo periodo storico provengono da Emar ed Ekalte, l’odierna Tell Mumbaqa.

 

           La rappresentazione iconografica del dio Reshef nel territorio siro-levantino non è semplicemente riconoscibile, sia perché le raffigurazioni statuarie in nostro possesso sono prive di iscrizioni o di indicazioni sulla figura rappresentata, sia perché si conoscono alcune varianti nella rappresentazione del dio. Nel capitolo quattro l’A. analizzando le principali opere dedicate a questa tematica sottolinea che l’identificazione più quotata è quella proposta da R.H. Smith e da D. Collon, i quali identificano Reshef con l’appellativo “Smiting god” sulla base delle fonti testuali e delle rappresentazioni iconografiche egizie. Ciononostante rimane un ampio margine di errore nella regione Cananea, dove si incontrano maggiori varianti nel tipo di arma e scudo brandito dal dio, e nella raffigurazione del copricapo indossato. Queste varianti possono essere attribuite al fatto che gli artigiani a cui furono commissionate le statuette ignorassero l’originario significato simbolico degli attributi, come per il copricapo che generalmente rappresenta la corona bianca dell’Alto Egitto.

 

           Larga parte della produzione statuaria dedicata a Reshef si colloca tra XIV – XIII secolo o inizio del XII secolo a.C., ma esistono alcune figurine bronzee successive all’Età del Bronzo  rinvenute all’esterno dell’area levantina: come gli esempi rinvenuti a Heraion di Samo, in Sardegna, in Spagna ed in altre aree del Mediterraneo. Il problema sollevato dall’A. è se queste rappresentazioni iconografiche dimostrino una continuità produttiva nel Levante anche dopo l’800 a.C., o se rappresentino delle reliquie antiquarie commercializzate dai mercanti fenici nell’Egeo e nel Mediterraneo occidentale. In ogni caso esistono diverse imitazioni dei tratti iconografici con cui viene rappresentato il dio nella produzione glittica e negli scarabei della metà del I millennio a.C.

 

           Maggiori informazioni riguardanti Reshef e il suo culto nel corso del II millennio a.C., in particolar modo sul piano iconografico, ci provengono dall’Egitto dove il culto del dio si diffonde a partire dalla metà del II millennio e rimane in voga fino al periodo tolemaico. Nel capitolo quinto sono analizzate le principali testimonianze, a partire dalla più antica conservata nel Papiro Brooklyn 35.1446, che risale alla fine del XVIII secolo a.C. Nel documento il teonimo compare come nome proprio di origine asiatica, accompagnato da numerosi altri nomi di origine semitica nord-occidentale. Il testo sottolinea la presenza di un cospicuo numero di uomini e donne di origine asiatica al servizio del faraone Sobekhotep III, ma non è chiaro se si tratta di schiavi di origine cananea o se di liberi individui al servizio del faraone.

 

           Fino al XV secolo a.C. Reshef è attestato nella documentazione egizia solo in nomi propri di origine straniera, ma a partire dal Nuovo Regno i contatti tra Egitto e la regione siro-levantina si intensificano e il culto del dio viene introdotto nel territorio egizio. Nella stele di Aberdeen, una delle prime testimonianze di tale introduzione, è conservata con molta probabilità la più antica rappresentazione iconografica di Reshef egizio. Il dio è raffigurato con la corona bianca dell’Alto Egitto, una mazza a forma di ascia nella mano destra, e uno scudo nella mano sinistra. Questo tipo di rappresentazione riflette una concezione della divinità come dio-guerriero, adorato per il suo valore protettivo e la sua forza.

 

           Il culto di Reshef in Egitto viene ufficializzato con Amenhotep II nel XIV secolo a.C., inizialmente nell’area di Menfi e successivamente anche a Tebe. In seguito alle campagne di conquista condotte dai sovrani della XVIII dinastia, il culto di Reshef si diffonde anche in Nubia e come sottolineato dall’A. la ragione principale della diffusione del culto del dio della guerra in Egitto e Nubia è sicuramente ascrivibile alle campagne condotte in Siria e in Levante. Per questo motivo è probabile che inizialmente Reshef fosse venerato solo in ambienti militari. Solo successivamente, durante il periodo Ramesside il culto del dio diventa popolare in tutti gli ambienti, ed in particolare tra la popolazione semitica che lavora a Deir el-Medina. Da questo contesto provengono infatti numerose stele di piccole dimensioni e piccoli oggetti commissionati da privati cittadini. Il più delle volte il dio è raffigurato in una triade composta da Reshef sul lato destro, il dio egizio Min-Amon-Kamutef sul lato sinistro, e la dea di origine siro-cananea Qudashu al centro.

 

           Infine Reshef viene menzionato in alcuni papiri con numerosi appellativi: ad esempio “il grande Dio”, “il Dio eterno” e “il Signore del cielo”, che sottolineano il suo valore di Dio-guerriero che protegge i suoi seguaci dalle malattie e da altri mali.

 

 

           Gli ultimi due capitoli sono dedicati all’analisi delle attestazioni riguardanti Reshef nel I millennio a.C. e rinvenute in Siria e nella regione Cananea (capitolo VI) e in Egitto (capitolo VII). A partire dal VIII secolo a.C. il teonimo compare in alcuni testi Aramaici, Fenici ed Ebraici, e il suo culto è ben attestato a Cipro. Il suo nome compare anche in alcuni testi biblici dove però è rimarcato l’aspetto negativo della divinità come portatore di malattie e flagelli. Questa associazione è probabilmente influenzata dall’assimilazione di Reshef con le divinità egizie a forma di falco, e dalla sua associazione con un nefasto uccello predatore. Tale  fenomeno di demonizzazione della divinità si diffonde in seguito anche in ambiente giudaico. Ciononostante la valenza positiva del dio inteso come divinità protettrice non viene completamente abbandonata, ma continua ad esistere fino al II-I secolo a.C., come testimonia l’iscrizione conservata nella bendatura di una mummia appartenente al periodo Tardo Tolemaico, in cui è riportata l’iscrizione “Colei che appartiene a Reshef”.

 

 

           Il merito principale dell’opera è di racchiudere in un unico volume la produzione epigrafica ed iconografica riguardante Reshef nel Levante e in Egitto, e relativa ad un arco cronologico abbastanza ampio. Nonostante la quantità di documentazione analizzata l’A. però non approda a conclusioni esaustive e adeguatamente trattate, limitandosi ad una rapida rassegna dei caratteri principali della divinità. Infine si sottolinea la mancanza di un adeguato corollario di immagini soprattutto nei capitoli relativi all’iconografia, che ostacola la lettura e la consultazione dell’opera.